Tema sugli ultimi capitoli dei Promessi Sposi - di Elisa Battaglia
Alessandro Manzoni dal 30 capitolo del suo romanzo "I
promessi sposi" rivolge l'attenzione sulla peste che ha colpito la Lombardia nel 1630.
La peste uccideva persone di ogni età, senza aver pietà per nessuno.
L'epidemia decimò la popolazione in modo atroce,
distruggendo intere famiglie e portando scompiglio in tutto il territorio.
All'inizio, come lo scrittore ci racconta, la gente
distorceva la realtà, tentando di convincersi che la malattia che incombeva non
fosse la peste. Presto, però le persone dovettero riconoscere quale fosse la
verità, e ammettere l'errore.
Essendo una malattia altamente contagiosa, la popolazione
iniziò a prendere le distanze da qualunque individuo ne presentasse i sintomi.
Quest'ultimi erano essenzialmente: mancanza di forza,
bubboni su tutta la superficie del corpo e febbre elevata.
I malati venivano portati in carri guidati dai monatti,
persone che avevano superato la peste e quindi ne erano vaccinati, e venivano
lasciati in ospedali.
Poiché i morti furono milioni, i cadaveri non potevano
permettersi una tomba propria e quindi venivano seppelliti in fosse comuni.
Manzoni racconta di persone straziate a causa dei dolori
della malattia, ma soprattutto per la perdita di amici e parenti.
Il poeta si sofferma descrivendo una delle tante situazioni
critiche di quegli anni, vista attraverso gli occhi di Renzo.
Le protagoniste della scena sono una madre e una bambina di
nome Cecilia.
La donna tiene tra le braccia sua figlia, ormai morta.
All'apparenza si poteva credere che la bimba stesse
dormendo, cullata dal movimento ritmico delle mani della madre; ma solo un unico
particolare la tradiva: la sua piccola e delicata mano. Quest'ultima era bianca
cadaverica e penzolando, giaceva con una certa gravezza.
Pur essendo ormai senza vita, la donna aveva vestito Cecilia
con un grazioso abitino candido, e il tessuto, cadendo lievemente sulla figura
minuta, abbracciava perfettamente il suo corpicino.
I capelli della piccola, sistemati attentamente, lunghi e
curati, ricoprivano il suo viso, evidenziandone i lineamenti morbidi.
La madre ricompensa il monatto e lo prega di non toccare ne
di svestire Cecilia, ma di porla nella fossa così com'è. La donna allontana la
sua piccola dal suo grembo e la ripone sul carro. Non saprà mai se l'uomo ha
rispettato il patto, poiché non accompagna sua figlia al "cimitero".
La signora, rientrata in casa con dolore straziante, guarda
il carro partire, portando con sé il suo angelo.
Manzoni descrive la madre come una donna avanti con gli
anni, ma non affatto trascurata.
E' di una bellezza sciupata, ma allo stesso tempo maestosa.
Non piangeva, eppure si intravedeva la disperazione nei suoi occhi.
La morte di un figlio è il patimento più profondo e
tormentato che colpisce non solo l'anima e il cuore, ma il genitore è afflitto
da una sensazione di sofferenza anche fisica.
Non si può spiegare il dolore che ha subito la madre di Cecilia
nel vedere la figlia morta tra le sue braccia, talmente è stato lancinante.
Qui, intervengono domande come: "Perché doveva morire proprio lei?",
"Perché Dio non è intervenuto?", ma queste domande non avranno mai
una risposta...
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